Diritto digitale

Come difendersi da recensioni false, impersonificazioni e review bombing

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AUTORE: Giacomo Manfrini
g.manfrini@studiolegally.com
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Come difendersi da recensioni false, review bombing e impersonificazioni

La reputazione digitale è oggi uno degli asset aziendali più vulnerabili. Fake reviews, profili falsi, campagne di denigrazione e review bombing possono produrre danni economici e d’immagine significativi, spesso in tempi rapidissimi.

difendersi da recensioni false online

TL;DR: 

Questo articolo fornisce una mappa legale e strategica completa per difendersi, analizzando:

  • Le principali fattispecie normative e le aggravanti per i reati commessi tramite IA.
  • Gli strumenti di tutela penale e civile, incluse le misure cautelari dirette alla rimozione dei contenuti e il sequestro dei profili falsi.
  • Le responsabilità delle piattaforme online alla luce del Digital Services Act (DSA).
  • L’action plan operativo per identificare gli autori.

 

Indice dell’articolo

  1. Reputazione aziendale vulnerabile
  2. Tipologie di aggressione
    1. Recensioni false e diffamatorie
    2. Impersonificazione e brand squatting
    3. Review Bombing
  3. La responsabilità delle piattaforme
  4. Come difendersi concretamente
  5. Gestire la crisi
  6. FAQ

 

La reputazione aziendale come asset critico nel contesto digitale

La reputazione aziendale è oggi uno degli asset intangibili più rilevanti nella valutazione di un’impresa. Secondo stime di settore, oltre il 65% dei consumatori consulta recensioni online prima di un acquisto. La percezione digitale influenza quindi il fatturato, la fidelizzazione e la competitività.

In questo scenario, profili falsi, fake reviews e attacchi coordinati rappresentano un rischio concreto. Una singola campagna denigratoria può compromettere la fiducia di clienti e partner. Da qui nasce la necessità di un approccio legale integrato, che unisca diritto penale, civile, commerciale e digitale, utilizzando anche i nuovi strumenti introdotti dal Digital Services Act (DSA) e dal Regolamento P2B.


 

Tipologie di aggressioni digitali

Le aggressioni reputazionali digitali si manifestano in varie forme, ma hanno spesso una caratteristica comune: l’anonimato o la falsificazione dell’identità per diffondere contenuti falsi o denigratori.

1. Recensioni false e diffamatorie

Le fake reviews su piattaforme come Google, Glassdoor o TripAdvisor rientrano nella diffamazione aggravata quando attribuiscono all’impresa fatti non veri, lesivi del decoro e dell’onore professionale.
La giurisprudenza ha chiarito che la diffusione su internet costituisce una modalità aggravata dal “mezzo di pubblicità”, attesa la capacità del messaggio di raggiungere un pubblico potenzialmente indefinito.

In ambito civile, tali condotte integrano un illecito extracontrattuale e, nei casi di concorrenza, anche atti di denigrazione.

In breve: la critica è legittima solo se veritiera, circostanziata e proporzionata. Tutto ciò che mira esclusivamente a danneggiare l’immagine aziendale è illecito.

2. Impersonificazione e brand squatting

L’apertura di profili social falsi che utilizzano logo, nome o trademark dell’impresa può integrare il reato di sostituzione di persona. Oltre al profilo penale, l’impersonificazione può configurare anche casi di concorrenza sleale, generando confusione con nomi o segni distintivi usati da altri e di violazione dei diritti di marchio tutelati dal Codice della Proprietà Industriale

Le imprese devono monitorare costantemente i canali social per individuare account che sfruttano impropriamente il brand o interagiscono con clienti fingendo di essere l’azienda stessa.

Con l’automazione e l’intelligenza artificiale generativa, l’attacco reputazionale è diventato scalabile e anonimo. Bot e sistemi di IA possono generare deepfake realistici (video o immagini falsi) in poche ore.

3. Review Bombing

Una delle evoluzioni più recenti e insidiose delle aggressioni reputazionali è rappresentata dal review bombing, ovvero la pubblicazione coordinata di un elevato numero di recensioni negative in un breve arco di tempo, spesso da parte di utenti che non hanno mai avuto un’esperienza reale con l’azienda o il prodotto recensito.

Questa pratica nasce come forma di “protesta digitale” — tipicamente contro brand, produzioni culturali o imprese che abbiano adottato posizioni controverse — ma, nel contesto aziendale, si traduce in un vero e proprio strumento di pressione o di concorrenza sleale.

Da un punto di vista giuridico, il review bombing può integrare più fattispecie:

  • Diffamazione aggravata, qualora i commenti contengano espressioni lesive della reputazione dell’impresa o del suo management;
  • Concorrenza sleale, se orchestrato da soggetti economici concorrenti per alterare artificialmente la percezione del mercato generando discredito o appropriandosi di pregi;
  • Pratica commerciale ingannevole ai sensi del Codice del Consumo, se le recensioni sono pubblicate in violazione dei principi di trasparenza e veridicità.

Dal punto di vista probatorio, il review bombing presenta un’ulteriore criticità: la rapidità e la massa dei contenuti rendono difficile l’individuazione dei singoli autori, imponendo all’impresa di agire in via cautelare, spesso anche nei confronti della piattaforma, per ottenere la conservazione immediata dei dati IP e il blocco delle recensioni sospette.


 

La responsabilità delle piattaforme: Digital Services Act

Il nuovo Digital Services Act (DSA), in vigore dal 2024, ha cambiato radicalmente i rapporti tra imprese e piattaforme. Oggi, i contenuti illegali – compresi fake reviews e profilazioni false – rientrano nella definizione di “contenuti illeciti”.

Il meccanismo chiave: “Notice and Take Down”

Le piattaforme sono esentate da responsabilità solo finché non sono a conoscenza del contenuto illecito. Dopo la notifica specifica e circostanziata da parte dell’azienda (la “notice”), diventano giuridicamente responsabili se non agiscono con tempestività.

In pratica: notificare correttamente Google, Meta o Glassdoor obbliga la piattaforma a intervenire, pena la perdita dell’esenzione di responsabilità e l’esposizione a un’azione risarcitoria.


 

Come difendersi concretamente

L’efficacia della difesa legale contro le aggressioni reputazionali digitali dipende dalla rapidità con cui l’impresa riesce a reagire. La procedura deve essere pianificata in modo strategico, partendo dalla raccolta della prova digitale e proseguendo con la de-anonimizzazione dell’autore e la gestione coordinata della crisi, sia sul piano legale che comunicativo.

Raccolta preliminare della prova digitale

Prima di qualsiasi azione, è essenziale assicurarsi che la prova sia
autentica, completa e opponibile. La raccolta deve avvenire con modalità tali da garantirne la data certa e l’integrità, poiché ogni omissione può compromettere l’efficacia delle azioni successive.

In particolare, devono essere conservati:

  • lo screenshot completo del testo diffamatorio;
  • il nome o nickname dell’autore e la data di pubblicazione;
  • l’URL esatto della pagina;
  • se possibile, una copia forense estratta tramite perizia informatica.

Questa documentazione serve a dimostrare il fumus boni iuris (fondatezza della sussistenza dell’illecito) e il periculum in mora (rischio di aggravamento delle conseguenze dannose o pericolose), requisiti necessari per richiedere provvedimenti cautelari urgenti.

De-anonimizzazione: identificare l’autore anonimo

Ogni aggressione digitale lascia una traccia: l’indirizzo IP e il timestamp. Tuttavia, i provider conservano questi dati solo per periodi limitati e la loro perdita rende impossibile risalire all’autore. È quindi cruciale agire tempestivamente.

  1. Conservazione dei dati
    L’azienda può presentare un ricorso cautelare urgente per ottenere un’ordinanza che imponga al provider (es. Google, Meta, Trustpilot) di non cancellare i log IP e i timestamp.
    Questo passaggio è determinante per “congelare” la prova digitale e impedire che vada perduta.
  2. Richiesta di esibizione
    In seguito, il giudice può ordinare all’hosting provider di fornire l’indirizzo IP legato alla pubblicazione del contenuto illecito. L’istanza deve essere precisa e motivata.
  3. Identificazione finale tramite ISP
    Con l’IP acquisito, il giudice può ordinare all’Internet Service Provider di rivelare i dati anagrafici dell’utente. È il passaggio conclusivo che consente all’impresa di procedere con l’azione penale o civile per diffamazione, concorrenza sleale o danno reputazionale.

La consulenza di un legale specializzato in diritto digitale è indispensabile per gestire correttamente questa sequenza procedurale e rispettare i termini di conservazione dei dati.

 


 

Gestire la crisi

Quando un attacco reputazionale è in corso, la risposta deve essere rapida ma misurata, per evitare di amplificare la visibilità del contenuto illecito. Il coordinamento tra dipartimento legale e comunicazione aziendale è cruciale.

L’approccio più efficace prevede tre livelli di azione:

  • Azione legale silenziosa – Avviare subito le procedure cautelari per la conservazione dell’IP e la rimozione del contenuto, senza interazioni pubbliche.
  • Risposta pubblica controllata – Se necessario, diffondere una nota che ribadisca l’infondatezza delle accuse e la volontà dell’impresa di tutelarsi legalmente, evitando però ogni forma di confronto diretto con l’autore o i commentatori.

Solo un approccio integrato legale, tecnico e reputazionale consente di ristabilire rapidamente l’equilibrio, preservando l’immagine aziendale e il capitale di fiducia.


 

FAQ | Come pubblicare un contenuto sponsorizzato

1. Posso chiedere la rimozione di una recensione anonima su Google?

Sì, se la recensione è diffamatoria o falsa, l’impresa può notificare Google ai sensi del DSA. Se la piattaforma non agisce, perde l’esenzione di responsabilità.

2. Come posso scoprire chi ha scritto una recensione falsa?

Attraverso la procedura giudiziaria di de-anonimizzazione, che consente di ottenere l’indirizzo IP e i dati dell’autore.

3. L’uso dell’IA per diffondere fake reviews è un’aggravante?

Sì. È prevista un’aggravante per i reati commessi tramite IA, con pene più severe e maggior risarcibilità.


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