Societario e operazioni straordinarie​

Fare impresa per ricavare profitto e, al contempo, per un fine superiore di carattere etico e sociale, si può?

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AUTORE: Daniele Sorgente
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Con la Legge di stabilità del 2016 (per la precisione la numero 208 del 28.12.2015) nel nostro ordinamento è stato introdotto un nuovo interessante strumento giuridico, mutuato dall’esperienza statunitense: quello delle società benefit. Questa nuova figura è pensata per coniugare, all’interno del consolidato sistema delle società, le classiche finalità di lucro con il perseguimento di obiettivi aventi dichiaratamente un positivo impatto collettivo e sociale (il cosiddetto “beneficio comune”). Si tratta, pare opportuno precisarlo sin da subito, di uno strumento tutt’altro che teorico, capace – al contrario – di esplicare un impatto effettivo e concreto nella vita della società.

Qual è il “beneficio comune” che una società benefit deve portare avanti?

La definizione ci arriva direttamente dalla Legge di stabilità del 2016 sopraccitata. Per “beneficio comune” deve intendersi il perseguimento, nel corso dell’esercizio dell’attività economica, di uno o più effetti positivi – oppure della riduzione di effetti negativi – nelle seguenti categorie: persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interessi. Il “beneficio comune”, come accennato, deve essere reale, tangibile, rispondere alle esigenze concrete della realtà nella quale l’azienda si colloca e non può esulare dalla mission dell’azienda stessa. Con ciò, ne discende come gli amministratori siano tenuti a bilanciare gli interessi dei soci (shareholders) con gli interessi degli stakeholders, dandone di volta in volta evidenza.

Come si diventa società benefit e quali sono i relativi principali requisiti?

Possono assumere la qualifica giuridica di società benefit tutti i tipi societari previsti dal nostro codice civile, con l’esclusione delle srl semplificate, che non permettono alcuna personalizzazione del modello statutario, nonché delle cooperative ed imprese sociali, entrambe senza scopo di lucro e già di per sé volte al perseguimento di un obiettivo sociale. È necessario prevedere sin dalla costituzione (oppure integrare lo statuto qualora la società sia già costituita) alcune clausole specifiche che riassumiamo di seguito:

– denominazione sociale: l’inserimento (non obbligatorio per legge) delle parole “società benefit” o dell’abbreviazione “SB”;

– oggetto sociale: l’indicazione accanto all’attività propria dell’impresa delle finalità di “beneficio comune”, cioè il perseguimento di uno o più effetti positivi, o di riduzione di effetti negativi, nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni e gruppi di soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente, dall’attività propria della società;

– soggetto responsabile del perseguimento del “beneficio comune”: l’esplicito impegno nello statuto di individuare il soggetto o i soggetti che dovranno presidiare funzioni e compiti volti al raggiungimento di tale beneficio;

– relazione annuale e pubblicità: la previsione statutaria circa gli obblighi gravanti sugli amministratori per la redazione e la pubblicazione di un’apposita relazione annuale riguardante il perseguimento del “beneficio comune”. Tale relazione, peraltro, dovrà essere puntuale e aggiornata esplicitando quali saranno gli obiettivi concreti prevedibili per l’esercizio successivo; di tale documento dovrà essere data pubblicazione sul sito internet della società.

Un ulteriore elemento essenziale che vale certamente la pena di evidenziare è quello relativo alla valutazione degli impatti generati con il perseguimento delle finalità di “beneficio comune”. È previsto infatti che la società benefit rediga una relazione annuale di impatto concernente il suddetto “beneficio comune” da allegare al bilancio societario. Tale valutazione dovrà essere eseguita utilizzando uno standard di valutazione sviluppato da un ente terzo e dovrà, necessariamente, approfondire i temi della governance, dei rapporti con i lavoratori, dei rapporti con gli altri portatori di interesse e dell’ambiente.

Cosa succede se una società benefit prevede un “beneficio comune” fittizio nello statuto o non fa alcunché per perseguirlo?

La qualifica di società benefit può, ad avviso di chi scrive, fornire un effettivo valore aggiunto sotto molteplici punti di vista. Il passaggio tuttavia deve essere reale, consapevole ed effettivo. Su tale procedura, infatti, svolge una funzione di verifica e controllo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. La società benefit che non persegua il “beneficio comune” condiviso è soggetta, infatti, alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 145/2007 in materia di pubblicità ingannevole e alle disposizioni del Codice del consumo, con ogni conseguente sanzione ivi prevista.

 

 

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