Contrattualistica commerciale​

Inadempimento contrattuale ai tempi del Covid-19: quali interventi ha adottato il Legislatore finora?

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AUTORE: Daniele Sorgente
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Le disposizioni del legislatore, contenute nel D.L. 23 febbraio 2020 n.6 e successive modifiche, in relazione agli effetti che l’emergenza stessa ha generato sui contratti in corso di esecuzione, riguardano espressamente:

i) i contratti di trasporto aereo, ferroviario, marittimo nelle acque interne e terrestre (art. 28, D.L. 2 marzo 2020, n. 9) e

ii) i contratti di soggiorno e i contratti per l’acquisto di biglietti per spettacoli, musei e altri luoghi di cultura (art. 88 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18) dichiarati risolti di diritto con conseguente obbligo di rimborso ai clienti di quanto già eventualmente pagato. (si veda l’articolo 28 che disciplina il “rimborso titoli di viaggio e pacchetti turistici”, prevedendo tra l’altro che le procedure di rimborso possono concludersi con la restituzione del corrispettivo versato per l’acquisto del titolo di viaggio, ovvero con l’emissione di un voucher di pari importo da utilizzare entro un anno dall’emissione).

Inoltre, l’art. 91 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18, che ha introdotto il comma 6-bis all’art. 3 del D.L. 23 febbraio 2020, disciplina che “il rispetto delle misure di contenimento, di cui al presente decreto, è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali, connesse a ritardi o omessi adempimenti”.

Siamo nel tipico caso del c.d. “factum principis”, formula che indica una causa di impossibilità oggettiva (insieme al caso fortuito e alla forza maggiore) ad eseguire la prestazione, derivante da un ordine dell’autorità o da provvedimento autoritativo. Poiché l’intervento dell’autorità esula dalla sfera di controllo del debitore, tale fatto non gli è imputabile, e quindi l’obbligazione o si estingue senza che residuino conseguenze per lui negative, o verterà in uno stato di quiescenza che può risolversi con il venir meno della impossibilità di eseguire la prestazione.

Per tutti gli altri casi non espressamente disciplinati, risulta quindi necessario far ricorso a quanto disciplinato dal codice civile in materia di inadempimento contrattuale. A tal proposito l’articolo 1218 c.c (Responsabilità del debitore), deve leggersi in combinato disposto con l’art. 1256 c.c. (Impossibilità sopravvenuta definitiva e impossibilità temporanea per causa non imputabile al debitore), che disciplina al primo comma che “L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile”, mentre al secondo comma che “se essa è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia, l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.

E ancora, laddove la prestazione di una parte sia divenuta solo parzialmente impossibile, l’articolo 1464 c.c. (Impossibilità parziale) prevede che “l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale”. Ergo il creditore della prestazione potrà agire per ottenere alternativamente, la riduzione della propria controprestazione, ovvero il recesso dal contratto, qualora non abbia interesse ad ottenere comunque una prestazione parziale (un esempio potrebbe ravvedersi in merito ai contratti di locazione ad uso commerciale interessati dalle misure restrittive).

Un ulteriore aspetto che necessita di essere evidenziato, è quello dell’eccessiva onerosità della prestazione. A tal riguardo, in difetto di espressa previsione di clausole contrattuali come quella di hardship, se la prestazione di una parte non è divenuta impossibile, ma solo più onerosa di quanto lo fosse al momento della stipula del contratto, il solo rimedio che il nostro ordinamento normativamente contempla, è quello dell’eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. articolo 1467 c.c. (risoluzione del contratto per eccessiva onerosità: contratto con prestazioni corrispettive). Esso prevede che “nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458”. In questo caso la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla, offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

Infine, appare utile ricordare anche l’istituto della presupposizione, rimedio suppletivo di origine giurisprudenziale secondo cui una parte può domandare la risoluzione del contratto qualora, in fase di esecuzione dello stesso, sia venuto meno il presupposto.

In conclusione, possiamo affermare dunque che è necessario valutare caso per caso, se la durata delle misure restrittive adottate per limitare la diffusione del Coronavirus sia tale da estinguere l’obbligazione oggetto d’analisi, fermo restando che il debitore sarà tenuto ad eseguire la prestazione nel momento in cui la causa dell’impossibilità dovesse cessare, indipendentemente da un suo diverso interesse economico, sempre che la stessa sia ancora voluta dalla controparte.

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