Una sforbiciata ai tempi dei processi in Italia: miglioriamo (tutti insieme) la Giustizia civile

Diritto Civile

Su Il Sole 24 Ore di oggi si torna a parlare dell’annosa questione dei tempi della Giustizia civile. L’analisi è molto interessante e credo dovrebbe imporre un momento di riflessione per tutti noi che lavoriamo in questo mondo e che, proprio perché ci lavoriamo, compartecipiamo attivamente alle sue sorti.

Prima qualche dato (relativo al 2019, raccolto da Luca Minniti e Giorgia Telloli e disponibile online su www.questionegiustizia.it). I processi civili sono troppo lunghi, ma è anche vero che la maggior parte di queste lungaggini si concentra in poche realtà territoriali. A Roma ci sono circa 17mila fascicoli aperti da più di due anni, a Santa Maria Capua Vetere 15mila, a Napoli 14mila, ma a Ravenna 53 e a Marsala 17. Su un totale di 140 tribunali, sono effettivamente “solo” 17 quelli che alzano drasticamente le statistiche sui tempi della Giustizia.

Trento è al 61posto: la percentuale dei fascicoli “più vecchi” di due anni è dello 0,33% sul totale, Rovereto si colloca nella 128esima posizione (0,06%), Bolzano in 112esima (0,09%). La stessa forbice la si riscontra per le Corti d’Appello, dove si passa dalla prima in classifica Roma (22.139 fascicoli che pendono da oltre due anni) all’ultima, la Corte d’Appello di Trento (25 fascicoli).

Stante una realtà nazionale così frammentata ed eterogenea, è impossibile tirare le fila ed elaborare dei ragionamenti unitari? Pare proprio di no, pare proprio – al contrario – che qualche pensiero trasversale lo si possa e lo si debba fare.

Il primo spunto riguarda il fatto che plausibilmente i dati del 2019 oggi sono peggiorati. Il Covid ha aumentato le difficoltà di gestione del contenzioso civile nelle aule di Giustizia, di fatto determinandone il “congelamento” per diversi mesi. Il secondo spunto riguarda la parzialità di quei dati, che non tengono conto del ruolo dei Giudici di Pace. In maniera molto semplicistica, possiamo dire che una buona parte dei giudizi di minor importo e complessità passano proprio dai Giudici di Pace (pensiamo al gravoso numero di cause aventi ad oggetto danni da circolazione stradale sotto i 20mila euro) e possiamo dire, del pari, che il tempo di chiusura di queste cause è di media piuttosto elevato. L’effetto su imprese e cittadini spazia dalla frustrazione allo scoramento, poiché è evidente che se per risolvere questioni ritenute “di poco conto” si devono attendere anni, ci sarà – magari anche in maniera distorta – grande timore sui tempi della Giustizia quando la posta in gioco è molto più alta. Il terzo spunto, quello che mi pare di maggior interesse, si ricollega alla premessa di questo intervento e riguarda ciò che si può porre in essere per contenere il problema.

Alcune cose vanno fatte ed è in primis il PNRR ad indicarcele. Gli obiettivi essenziali fissati dal piano sono due.

Uno: entro il 31 dicembre 2024 deve essere raggiunta una diminuzione del 65% dell’arretrato ultra-triennale per i Tribunali e del 55% di quello ultra-biennale per le Corti d’Appello: si tratta delle soglie determinanti per la cd “legge Pinto” (che, come noto, prevede un’equa riparazione per coloro che subiscono l’irragionevole durata di un processo). Entro il 31 dicembre 2026 sia i Tribunali che le Corti dovranno alzare l’asticella e portare la riduzione al 90%. Questo obiettivo dovrà, evidentemente, essere declinato e sotto-articolato nel concreto in maniera adeguata tra i vari uffici territoriali, date le marcate differenze di cui si è detto sopra.

Due: raggiungere in linea generale una riduzione della durata media dei procedimenti in tutti e tre i gradi di giudizio. In grande sintesi, è previsto che il 31 dicembre 2026 i procedimenti civili debbano durare il 40% in meno rispetto a quanto duravano nella rilevazione del 31 dicembre 2019. Per misurare questo obiettivo si fa riferimento al concetto di “disposition time”, ossia un indicatore che calcola il tempo medio prevedibile di definizione dei procedimenti, confrontando lo stock di pendenze alla fine dell’anno con il flusso dei procedimenti definiti nell’anno.

Il modo in cui raggiungere questo secondo obiettivo è davvero sfidante e ci coinvolge tutti.

La prima e più urgente esigenza mi pare quella dell’adeguamento numerico degli uffici di Giustizia, oggi gravemente sottodimensionati. La buona volontà nel raggiungere un traguardo non basta, se non ci sono mezzi e personale per farlo. La seconda direttiva da seguire, di cui si parla da tempo, è quella di una riforma radicale del processo civile. L’idea di fondo è quella di delineare un processo più snello e rapido e per poterlo fare si discute – a ragione – di tempi più serrati, di un’istruttoria concentrata in una sola fase molto ristretta e di una massiccia opera di incentivazione per chiudere le liti tramite meccanismi di ADR (mediazioni e negoziazioni). E in tutto ciò come entra l’attività dell’avvocato?

Il nostro ruolo, dal mio punto di vista, è essenziale.

Dobbiamo sopra ogni altra cosa lavorare sul nostro modo di relazionarci con i Giudici e, in generale, sul nostro modo di approcciarci al processo civile. Dobbiamo, perdonerete la banalizzazione, scrivere di meno e “meglio” (sia ben chiaro, mi includo pienamente e in prima persona nel discorso). Da tempo si discute dell’esigenza di contingentare il numero di pagine, di ridurre così facendo il tempo di lettura dei nostri scritti: ritengo sia venuto il momento di farlo in maniera ancor più ampia e vincolante rispetto al celebre Protocollo d’Intesa per i ricorsi in Cassazione.

Credo, al contempo, che dovremo mettere quanto più possibile i Giudici nelle condizioni di avere un colpo d’occhio efficace sulla nostra difesa: domande chiare, collegamenti rapidi, menu, sintesi e schematizzazioni. Ancor prima, andrebbe fatta un’opera di selezione migliore sulle argomentazioni, sulle eccezioni e sulle domande processuali; mi viene spesso da chiedere: tutto ciò di cui stiamo lungamente discutendo in giudizio è rilevante per la causa? Quanto di ciò di cui si discute finisce solo per distogliere l’attenzione dalle questioni davvero importanti? E come mai abbiamo introdotto in causa questioni irrilevanti, abbiamo esercitato in maniera adeguata quell’opera di “filtraggio” delle richieste del cliente cui siamo chiamati?

Infine, ma in ordine inverso di importanza, la consapevolezza del ruolo e della modalità di esercitarlo. Il processo civile non è una congerie di norme ad uso e consumo delle parti e dei loro legali, ma costituisce (perdonerete, ancora una volta, la banalizzazione) la struttura essenziale delle regole del “gioco”, dove però la prima regola è e rimane sempre “giocare bene”.  L’avvocato che fa bene il suo lavoro è utile al suo assistito, tanto quanto al Giudice, agli ausiliari e al legale della controparte. Sta perseguendo gli interessi del suo assistito e lo sta facendo in una maniera estremamente più efficace rispetto a chi predilige una strada fatta di verbosità, complicazione e fumosi espedienti.

In definitiva, possiamo avere un ruolo essenziale nel migliorare il sistema Giustizia al di là di ciò che il “disposition time” può misurare: noi dobbiamo giocare bene.