Le “copie usate” del software e la loro cessione

Diritto digitale

Il diritto d’autore, così come tutela la creazione di un libro, di una canzone, o di un film, protegge anche i diritti dell’autore di un software. Quando acquistiamo un software, nella maggior parte dei casi stipuliamo un contratto di licenza d’uso, cioè un contratto a mezzo del quale il licenziante – ad es. una software house – concede a noi, in qualità di licenziatari, alcuni dei diritti d’uso del medesimo. In forza della licenza d’uso, il licenziatario non diviene titolare dei diritti d’autore sull’opera, bensì gli è attribuito il diritto di utilizzare il software. Ed infatti, l’unico bene di cui il licenziatario ottiene la proprietà è il supporto sul quale è contenuto il software – se presente – come potrebbe essere, ad esempio, un CD o una memoria usb. Per semplicità, lo stesso ragionamento può essere svolto in maniera più intuitiva quando acquistiamo un libro: l’acquirente acquista la proprietà materiale del libro, ma non acquisisce alcun diritto d’autore sull’opera.

Sulla base di tali premesse, è nato un dibattito relativo alla possibilità da parte del titolare della licenza d’uso di un software di rivendere la “copia usata” dello stesso ad un altro soggetto. Ciò potrebbe accadere, ad esempio, quando il titolare della licenza non avesse più bisogno del software e volesse, perciò, venderlo al fine di recuperare parte dell’investimento fatto per “acquistarlo”. Detta attività, tuttavia, è stata ostacolata dalle software house, le quali hanno introdotto nelle licenze d’uso una clausola che ne vieta la rivendita. Detta clausola, in verità, è stata introdotta per contrastare un’attività differente, cioè quella della commercializzazione di “copie illegali” del software, e non invece la commercializzazione della “copia usata”, ma ha comportato ovvie conseguenze anche per il secondo caso.

La questione oggetto di dibattito è facilmente comprensibile se si chiarisce il concetto del principio dell’esaurimento e la sua applicazione a seconda che si tratti di beni materiali o immateriali, e può essere ripercorsa sulla base della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE, emanata a seguito di un giudizio che vedeva contrapposte le società UsedSoft e Oracle, ed avente ad oggetto proprio la cessione di “copie usate” di software (sentenza C-128/11 del 3 Luglio 2012). In particolare, il giudizio verteva sulla legittimità del comportamento tenuto dalla società UsedSoft, la quale commercializzava delle licenze di software “usati” realizzati da Oracle.

Nel dare una soluzione alla controversia, la CGUE si è focalizzata sull’analisi dell’area di operatività del principio dell’esaurimento dei diritti di distribuzione, con particolare riguardo al mondo dell’informatica. Il principio dell’esaurimento può essere riassunto in due passaggi:

1) il titolare del diritto d’autore su di un’opera è l’unico soggetto a cui è riconosciuto il diritto di distribuzione della stessa, cioè l’unico a cui spetta la facoltà di mettere in commercio l’opera a scopo di lucro;

2) la prima vendita nell’UE dell’originale di un’opera o di sue copie da parte del titolare del diritto esaurisce il contenuto del diritto di controllare la rivendita di tale oggetto nell’UE.

La logica che ha portato all’introduzione del principio dell’esaurimento risulta molto coerente quando si pensa ad un bene materiale, come ad esempio un libro: all’autore spetterà un compenso per ogni copia del libro che egli ha messo in circolazione. Ovviamente, è possibile che lo stesso manoscritto venga letto da più persone, ma il numero di copie messe sul mercato corrisponderà sempre, in linea di massima, a quelle che l’autore ha voluto distribuire. Pertanto, in questo caso, l’autore rimane sempre in controllo della distribuzione dell’opera. Il problema, nel caso dei software – che ha fatto scattare il dibattito relativo alla possibilità di rivendere la “copia usata” dello stesso, e che sul piano giuridico si traduce nel principio dell’esaurimento – nasce dal carattere “immateriale” del software medesimo. In questo caso, considerato che di molti software può essere effettuata un “copia” facilmente ed a costo quasi pari a zero, è frequente che vengano messe in circolazione molte più copie del software rispetto a quelle che l’autore aveva scelto di distribuire. Seppur tale attività sia assolutamente illegale – come lo sarebbe fotocopiare un libro e rivenderlo – tale fenomeno è molto diffuso, e pertanto le software house, per contrastarlo, hanno iniziato ad inserire nelle licenze d’uso il divieto di rivendita del software. Detto divieto, ovviamente, andrebbe a vietare anche la rivendita della “copia usata” del software.

La CGUE, con la menzionata sentenza, dopo aver confermato, richiamando il paragrafo dell’art. 4 della direttiva 2009/24, l’applicabilità del principio dell’esaurimento anche ai software, e la conseguente inefficacia della clausola che impedisce la rivendita della “copia usata” dello stesso “la prima vendita della copia di un programma nella Comunità da parte del titolare del diritto o con il suo consenso esaurisce il diritto di distribuzione della copia all’interno della Comunità, ad eccezione del diritto di controllare l’ulteriore locazione del programma o di una copia dello stessoha aggiunto che il diritto di distribuzione della copia di un programma per elaboratore è esaurito qualora il titolare del diritto d’autore che abbia autorizzato, foss’anche a titolo gratuito, il download della copia su un supporto informatico via Internet abbia parimenti conferito, a fronte del pagamento di un prezzo diretto a consentirgli l’ottenimento di una remunerazione corrispondente al valore economico della copia dell’opera di cui è proprietario, il diritto di utilizzare la copia stessa, senza limitazioni di durata.

In conclusione, sulla base di quanto statuito dalla Corte, si può ritenere che se il titolare del diritto d’autore sul software ha concesso al licenziatario una licenza d’uso “senza limiti di durata”, quest’ultimo può legittimamente trasmettere a terzi la propria “copia usata” del software, avvalendosi del principio dell’esaurimento del diritto di distribuzione. È interessante notare che, tra le diverse soluzioni utilizzate dalle software house per tutelare la proprietà intellettuale dei propri software vi è stata quella di predisporre dei contratti di licenza d’uso che conferiscano un diritto di utilizzazione a tempo limitato, in modo tale da limitare la possibilità di cedere a terzi la “copia usata” del software precedentemente acquistato.