Le varie sfaccettature del marchio: capacità caratterizzante, domain name, presale confusion, secondary meaning, royalty virtuale e concorrenza sleale

Proprietà intellettuale

L’interessantissima ordinanza del 19 maggio 2021 ci permette di fissare alcuni passaggi fondamentali riguardanti il marchio e la tutela in sede legale e giurisprudenziale.

Sono vari gli spunti di riflessione su cui la Cassazione ha focalizzato l’attenzione degli operatori.

Vediamo quindi assieme, per punti, quali sono.

  1. In apertura, gli ermellini ci ricordano cos’è il marchio d’insieme: si tratta del marchio qualificato dall’assenza di un elemento caratterizzante, nel senso che tutti i suoi vari elementi sono singolarmente privi di distintività; e il cui valore distintivo deriva soltanto dalla specifica combinazione di ciascuno di questi elementi.
  2. Si tratta, dunque, di una tipologia diversa dal marchio complesso, che è invece quello costituito da una composizione di più elementi, ciascuno dei quali è dotato di capacità caratterizzante.
  3. Al pari degli altri marchi, anche il marchio d’insieme è meritevole di tutela giuridica. Tipicamente, il marchio d’insieme acquisisce diritto di tutela in forza del c.d. secondary meaning: ossia, come segno che, prima della domanda di registrazione, ha acquisito carattere distintivo a seguito dell’uso che ne sia stato fatto e, conseguentemente, della notorietà che ne abbia tratto (art. 13, comma 2, codice della proprietà industriale). Questo uso, infatti, comporta che il marchio acquisisca un valore semantico ulteriore rispetto a quello meramente descrittivo.
  4. Alla luce di queste considerazioni, nel caso esaminato ci viene ricordato che anche il valore distintivo del marchio d’insieme priva gli altri operatori del mercato della possibilità di farne un uso non lecito né leale mediante segni confusori o che creano associazione.

Vediamo ora nello specifico come si declina questa tutela.

  1. In forza degli artt. 20 e 21 del codice della proprietà industriale, anche l’adozione di un domain name sconta la necessità di essere distintivo: non può dunque utilizzarsi, nemmeno per denominare il proprio sito, un segno uguale o simile ad un marchio altrui – se, a causa dell’identità o affinità tra le due attività d’impresa, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico. Attenzione, perché tale rischio di confusione può consistere anche in un rischio di associazione tra segni.
  2. Scegliere un nome che gioca con questo rischio, ossia con la possibilità di richiamare il pubblico utilizzando in maniera “servile” e “confusoria” un altro marchio già noto, integra la c.d. presale o initial confusion: e cioè, il fatto che l’utente si collega al sito recante il dominio in contraffazione, in quanto attratto dal nome e dal marchio notorio. Il pubblico, insomma, si collega al sito avendo in mente una determinata azienda, e si trova invece di fronte a un’altra attività economica – la quale ha usato come specchietto per le allodole la notorietà del marchio imitato.
  3. Il pregiudizio al carattere distintivo e alla notorietà del marchio imitato può però concretizzarsi anche in un altro modo: ad esempio con la presenza, sul sito, di messaggi distorsivi, e cioè non coerenti con l’immagine associata al marchio contraffatto. In questo modo, evidentemente, il marchio imitato soffre, nella sua immagine e nel messaggio che vuole trasmettere, una menomazione derivante dalla sua associazione distorta a informazioni, dati e contenuti che non gli appartengono e che ne svalutano o travisano il valore aziendale ed economico.
  4. Contro questo pregiudizio, che costituisce un’attività illecita consistente nell’appropriazione o contraffazione del marchio, il titolare può svolgere una duplice azione.
  5. Innanzitutto, la c.d. azione reale, che ha ad oggetto la tutela dei propri diritti di esclusiva del marchio. Con questa azione, il proprietario rivendica la titolarità esclusiva e ottiene l’inibitoria contro l’utilizzo del marchio imitato.
  6. A fianco di questa azione, il titolare può proporre anche un’azione personale per concorrenza sleale: ciò è possibile ogni volta che l’utilizzo del marchio imitatore abbia creato confondibilità tra i rispettivi prodotti.
  7. La liquidazione del danno avviene secondo le regole ordinarie.
    E, ove il titolare non sia stato in grado di fornire la prova diretta della diminuzione patrimoniale e della perdita economica indotte dalla contraffazione e dall’imitazione del marchio (mancato guadagno), il lucro cessante potrà essere liquidato ricorrendo alla c.d. giusta royalty o royalty virtuale.
    Infatti, ai sensi dell’art. 125 comma 2, del codice di proprietà industriale, in ogni caso al titolare del marchio andrà liquidato in via equitativa il danno da lucro cessante, che non può essere inferiore alla royalty che l’autore della violazione avrebbe dovuto corrispondere per fare uso del diritto violato sulla base di un contratto di licenza.