Contrattualistica commerciale​

Inquadramento giuridico del contratto d’opzione e le differenze con la proposta irrevocabile e il contratto preliminare.

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AUTORE: Daniele Sorgente
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Prima di procedere con l’analisi delle differenze tra i vari istituti, occorre soffermarsi brevemente sulla disciplina codicistica dell’opzione, dal momento che ad oggi manca una precisa definizione normativa della fattispecie. L’analisi condotta sullo schema tracciato nell’art. 1331 c.c rivela un rapporto fra più parti («quando le parti convengono»), di cui l’una si obbliga a stare alla propria dichiarazione, e l’altra si riserva la facoltà di accettarla o meno in un tempo posteriore, ma nulla di più. Ecco, dunque, che la lacuna legislativa in merito agli elementi costitutivi della fattispecie viene subito colmata dalle numerose pronunce di legittimità le quali, in buona sostanza, hanno cercato di enucleare nel corso degli anni il vuoto lasciato dal legislatore. Ad oggi pertanto è ormai pacifica la concezione che il patto d’opzione sia un negozio giuridico bilaterale preparatorio, con il quale le parti predispongono il contenuto di un futuro regolamento contrattuale e convengono che una di esse (concedente) manterrà ferma la propria dichiarazione per un certo tempo e l’altra (opzionario) sarà libera di accettarla o meno; si avrà così un rapporto strumentale preparatorio (patto di opzione) ed un (futuro ed eventuale) rapporto finale, caratterizzato, per tali sue peculiarità, da una formazione “progressiva” del proprio vincolo obbligatorio. È stato altresì ribadito dalla Suprema Corte, come la proposta irrevocabile contenuta nel patto –id est l’opzione stessa- per poter garantire una valida conclusione del contratto finale con la sola semplice manifestazione di accettazione da parte dell’opzionario, debba naturalmente già contenere tutti gli elementi essenziali e accidentali richiesti (per volontà di legge o di parte) dallo stipulando contratto (forma, oggetto, causa, condizioni, termini e oneri). Ne consegue che l’opzione deve contenere, nella sua interezza, l’intero regolamento contrattuale. Sul punto, l’orientamento giurisprudenziale prevalente rileva la possibilità che non possa essere considerato opzione un atto che non contenga gli elementi essenziali del futuro contratto (Cass. n. 18201/2004). La configurabilità del suddetto patto, pertanto, resta esclusa con riguardo ad una proposta che contenga solo alcuni elementi essenziali e non l’intero regolamento negoziale, perché, in tal caso, il perfezionarsi del contratto non può conseguire a detta accettazione, ma richiede la formazione del consenso sugli ulteriori elementi non contemplati dalla proposta stessa. Si ritiene, inoltre, che il patto d’opzione, perfezionandosi con la mera accettazione del destinatario, sia assoggettato agli stessi vincoli di forma prescritti per il contratto a cui si riferisce; pertanto, ove in ordine a tale contratto si esiga la forma scritta ad substantiam, il patto d’opzione deve rivestire la forma scritta a pena di nullità, con la sottoscrizione del patto da parte del suo destinatario (Cass. n. 28762/2017; Cass. n. 5869/1982; Cass. n. 515/1955).

Ma quali differenze incorrono tra l’istituto dell’opzione e la proposta irrevocabile d’acquisto?

Sul punto, va da subito precisato che la terminologia utilizzata dal legislatore è ambigua, in quanto come noto la dichiarazione non può “considerarsi” quale proposta irrevocabile benché il legislatore ne faccia esplicito richiamo all’interno dell’art. 1331 c.c.; l’irrevocabilità deriva, in realtà, dalla presenza di un vincolo contrattuale con duplice contenuto, volto a regolare, da un lato, il rapporto strumentale preparatorio e, dall’altro, il rapporto finale. Moltissime sono infatti le differenze tra opzione e proposta irrevocabile d’acquisto. Quest’ultima è infatti un negozio unilaterale e recettizio, che produce effetti quando giunge a conoscenza del destinatario (1334-1335 c.c.); l’opzione, invece, è un contratto, che si conclude secondo il noto schema proposta-accettazione. Conseguenza diretta di questo assunto è che la proposta irrevocabile non può essere a titolo oneroso, mentre il patto di opzione può essere oneroso o gratuito, al pari di tutti i contratti. Invero, nella pratica degli affari, l’opzione è quasi sempre un contratto oneroso, essendo pattuito spesso il pagamento di una somma (cd. premio) da parte dell’opzionario al concedente, quale corrispettivo per l’attribuzione del diritto potestativo di accettare o meno la proposta. Più sfumate risultano essere invece le differenze tra la proposta irrevocabile e l’opzione a titolo gratuito quanto la stessa si inserisce in complesse operazioni negoziali. Altra rilevante differenza con la proposta irrevocabile attiene alle conseguenze dell’accettazione difforme, che ricorre quando l’opzionario proponga al concedente di apportare modifiche al regolamento negoziale risultante dall’opzione. Infatti, se il concedente non accetta tali modifiche, nulla impedisce all’opzionario, in un momento successivo, di accettare l’originaria dichiarazione, non verificandosi alcuna decadenza. Al contrario, nella proposta irrevocabile, l’accettazione difforme equivale a controproposta e comporta la decadenza dell’oblato dal diritto potestativo di accettazione.

È inoltre prevista per l’opzione una diversa disciplina in caso di mancata fissazione del termine di accettazione. L’art. 1331 co.2 c.c. prevede che ove un siffatto termine non sia fissato, questo può essere stabilito dal giudice (si tratta di un’applicazione del principio di cui all’art. 1183 c.c.). Ulteriore differenza con la proposta irrevocabile attiene alla cedibilità della posizione di opzionario, in considerazione della natura contrattuale del patto di opzione. Ciò sempre che il concedente vi consenta e sempre che il contratto finale sia cedibile.

Il patto d’opzione si contraddistingue anche dal contratto preliminare: l’unico tratto comune alle due figure è la funzione preparatoria del vincolo contrattuale definitivo. Sotto il profilo strutturale, nell’opzione le parti sono legate da un rapporto fra diritto potestativo e soggezione, nel contratto preliminare invece il rapporto che sorge tra le parti è di tipo obbligatorio, sicché la presenza degli elementi essenziali nel preliminare è valutata in modo meno rigoroso, potendo costituire oggetto di successiva integrazione, mentre il rimedio dell’art. 2932 è escluso per l’opzione. L’opzione deve tenersi distinta anche dal preliminare unilaterale. Infatti, la Cassazione ha affermato che “il patto di opzione condivide con contratto preliminare unilaterale l’assunzione dell’obbligazione da parte di un solo contraente, tuttavia se ne discosta per l’eventuale successivo “iter” della vicenda negoziale, poiché a differenza del preliminare unilaterale, che è un contratto perfetto e autonomo rispetto al definitivo, l’opzione rappresenta un elemento di una fattispecie a formazione successiva, costituita inizialmente da un accordo avente ad oggetto l’irrevocabilità della proposta, ed in seguito dall’accettazione del promissario che perfeziona il contratto, sempre che venga espressa nella forma prescritta per il contratto stesso” (Cass. civ., n. 28762/2017).

Brevi cenni sulla responsabilità del promittente e del promissario.

Una volta concluso il patto d’opzione, il promittente non è tenuto ad alcuna specifica condotta positiva ai fini della conclusione del contratto definitivo; tuttavia, deve astenersi dal compimento di atti volti ad inibire o aggravare la conclusione del contratto finale. Si tratta di un’applicazione del generale obbligo di buona fede, che in caso di violazione determina la nascita in capo al promittente inadempiente di un obbligo risarcitorio. Si discute in dottrina in ordine alla natura giuridica di tale responsabilità per inadempimento dell’obbligo negativo del promittente: una prima tesi la riconduce all’ambito contrattuale, sicché il danno riparabile sarà comprensivo dell’interesse positivo, in base ad altro orientamento si tratta di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., fondata sulla violazione della clausola di buona fede, sicché il concedente dell’opzione che abbia reso impossibile la stipulazione del contratto finale, ad es. distruggendo il bene che ne avrebbe dovuto costituire l’oggetto, è tenuto, oltre che alla restituzione dell’eventuale premio, al risarcimento dei danni nei limiti dell’interesse negativo.

Quanto alla posizione del promissario, poiché l’istituto dell’opzione si inserisce nell’ambito di una più complessa fattispecie a formazione progressiva, costituita inizialmente da un accordo avente ad oggetto l’irrevocabilità della proposta del promittente e, successivamente, dalla (eventuale) accettazione del promissario che, saldandosi con la precedente proposta, perfeziona il nuovo negozio giuridico, soltanto successivamente alla conclusione del contratto di opzione il promissario, con riferimento al contratto definitivo, può incorrere in responsabilità precontrattuale, se abbia ingenerato il ragionevole affidamento nella conclusione di tale contratto rifiutandone, poi, la stipulazione (Cass. n. 2017/1998; Cass. n. 960/1980; Cass. n. 4448/1976; Cass. n. 2521/1968).

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